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Giuseppe Curonici
Art critic
Corpo senza tempo tempo senza corpo
2003

Le immagini hanno un senso. Qualsiasi immagine si riferisce a un pezzetto di realtà, qualunque sia e ogni realtà può far parte dell’esperienza umana: il banchetto, un pezzo di stoffa, il petalo di un fiore, uno strumento di lavoro. A loro volta queste percezioni di oggetti provocano una quantità innumerevole di associazioni di idee: memorie del passato, speranze o timori per il futuro, stati d’animo, concetti. In questo modo una combinazione di oggetti può essere l’equivalente di un linguaggio vero e proprio, proprio perché esprime pensieri e li comunica ad altri tali sono i presupposti dell’arte oggettuale. Nelle opere di Sandra Schaffner von Rubenwil presenti in questa selezione tutto il sistema delle associazioni di concetti e di sentimenti è organizzato attorno ad un centro ben definito, unitario. Non è un’affermazione, non è un dogma. È una domanda: io, come donna, chi sono? Evidentemente all’inizio questo discorso sembra molto individualista, legato alla vita privata, narcisista. Ma non è così. Infatti Sandra Schaffner non racconta annedoti di cronache individuali. Questo “io come donna” può essere qualsiasi personalità femminile, qualsiasi donna. In un secondo momento questo discorso interessa non meno anche a uno che dice “io come uomo” perché il rimando dall’uno all’altro dei sessi è una necessità naturale, per di più una necessità profondissima perché non riguarda solo i corpi diversi ma anche le diverse spiritualità, i diversi modi di sentire e di percepire. Fra i tanti oggetti che per inevitabile associazione di idee ci fanno sentire la vita interiore uno che Sandra Schaffner usa con particolare frequenza è il vestito. Il vestito indica il corpo. Esprime la vita, l’amore, anche la comunicazione con gli altri: indica perfino la morte quando il tessuto si spezzetta in piccoli lembi avviati a disperdersi, come petali quando il momento della rosa è finito. Altro tema connesso alla vita, che già abbiamo intravisto negli elementi sopra nominati, è il tempo. Gli abiti da cui provengono non pochi di questi tessuti sono stati portati da donne vissute parecchie generazioni fa. Gli antichi vestiti sono una visualizzazione di ciò che abbiamo vissuto soggettivamente nel tempo. Gli strappi sono ferite. Le cuciture sono cicatrici forse guarigioni. La maturazione di ciascuno passa attraverso sofferenze. Anche le fotografie sono eseguite non con l’intenzione di descrivere tecnicamente un oggetto materiale, ma ha lo scopo di far sentire le fasi o i momenti del tempo. Qualcosa è accaduto, l’immagine visiva vale come memoria. Per Sandra Schaffner le fotografie del passato sono in bianco e nero custodite in gabbie. Non hanno più la possibilità di spiccare il volo. Altre invece, a colori chiari si riferiscono al futuro, al sogno, alla donna come speranza, sono umilmente disposte sulla terra, ma libere, pronte a levarsi in volo. Può succedere che qualcuno ne raccoglierà una, io non posso proibirlo. Ma quale io? Io chi sono?